Signor Presidente del Consiglio,
mi permetto di scriverle per suscitare la sua preziosa attenzione sopra una riflessione che ritengo essenziale e urgente nel quadro della intensa crisi economica che avvince uomini e imprese.
Nell’agire del governo e, dunque, nell’amministrazione del potere pubblico ogni ministero ha la propria ragione fondativa. Non sempre, tuttavia, allo stesso tempo ha anche la medesima rilevanza: le circostanze della vita politica e sociale, infatti, possono produrre o determinare fenomeni in cui un ministero è «più coinvolto» di un altro nella gestione del problema che appare.
Ora, poiché nel contesto di gravissimo recesso delle economie il Mef riveste ruolo cruciale, domando: lei pensa che l’architettura istituzionale di tale ministero sia ancora la più adatta a rispondere alle drammatiche istanze che si levano da terra e, in generale, a quelle che provengono dal mondo che cambia?
Flussi di finanza pubblica sempre più assottigliati; debito e disoccupazione che crescono di giorno in giorno; masse estese di persone umiliate; attività che si spengono silenziosamente… Al di là dei termini di utilizzo delle risorse europee, il piano di volo più efficace per allontanare – adesso - lo stato di insolvenza in cui scivola l’Italia non può che essere scritto da una politica fiscale brillante: mai - come dal dopo guerra - il Fisco si svela così fatale!
Ma concepire una politica fiscale densa di smalto suppone un’opera di disincarnazione: il Fisco deve liberarsi del corpo appesantito del Mef, disceso da visioni economiche ormai dissidenti rispetto al moto e alla direzione dell’attualità; deve riprendere possesso del proprio dicastero.
Una plancia di comando autonoma, ben allacciata all’Agenzia delle entrate e alle altre agenzie europee, da cui fare del meccanismo di prelievo e valorizzazione dei beni pubblici il miglior congegno per contestualizzare l’interesse fiscale, inibire subito l’avanzamento della povertà, salvaguardare i diritti sociali e dare all’impresa ciò che essa, senza retorica, ha bisogno.
Per contro, detenuto nel Mef e qui in effetti dissolto, il Fisco non solo non realizza sé stesso, ossia, non diviene, non sboccia, ma è trascinato in quelle paludi gassose sopra le quali viceversa è chiamato ad innalzarsi.
Un ministero delle Finanze di nuova generazione conferisce agilità alla politica economica; ne spinge i fini a segno; è risorsa potente nel dibattito essenziale sulla formazione della inevitabile politica fiscale dell’Unione europea; è ottimo viatico per dare principio alla riforma del sistema tributario «che ci spetta»; è tante altre cose.
Personalmente, un ritorno al passato che, come un paradosso, costituisce slancio coraggioso verso la «contemporaneità». Signor Presidente, l’idea succinta nelle poche parole usate, sono persuaso, rovescerebbe il tempestoso corso che si profila avanti a noi. La prego di considerarla.
Vittorio Emanuele Falsitta