Se il pensiero efficientista insidia i diritti: la (nuova) questione morale della politica

28 giugno 2025

Riflessione pubblicata sul quotidiano Avvenire.

Alla fine degli anni Settanta, Enrico Berlinguer pone la "questione morale" della politica dei partiti. Nella nota intervista di Eugenio Scalfari del 28 luglio 1981, egli sostiene che la politica dei partiti di governo è fine a sé stessa e ha smesso di «contribuire a concorrere alla volontà della nazione» (si v. E. Berlinguer, La questione morale, con la prefazione di Luca Telese, Reggio Emilia, 2011).
Da allora, tanto è cambiato. Eppure, senza prendere la via di aggiornare i problemi di quegli anni, siamo dell’idea che vi sia una nuova, estrema, questione morale (ammesso sussista, ancora, spazio per considerare quel senso morale): la rimessione della politica alla volontà del pensiero tecnico. Lo stato di subiezione, per certi versi senza immediata alternativa, infatti, induce la politica ad affievolire progressivamente il proprio ruolo nel concorrere alla volontà della nazione.
La politica è divenuta del tutto funzionaria dell’apparato tecnico; stabilisce, direttamente e indirettamente, i presupposti giuridici, economici, culturali, strumentali alla realizzazione degli scopi dell’apparato. Ma la Tecnica non è sola. Essa è la parte dominante di un pensiero che incorpora l’ideologia capitalista; e, come tale, si fa mezzo per organizzare il sistema, nel modo in cui le (infinite) esigenze dell’una – la tecnica – e le (finite) esigenze dell’altro – il capitalismo – siano perseguibili senza vincoli (permanenti). Da questa prospettiva, la politica smette di comprenderela “volontà della nazione”. Se ne allontana. Per sopravvivere è chiamata ad assecondare la volontà di potenza della Tecnica (e del capitalismo).
Piuttosto scontata, una eventuale replica di segno opposto: la politica si afferma attraverso un programma di amministrazione; quindi, se è scelta, ciò significa che con quel programma è stata formalmente raccolta la volontà della nazione (anche quella di chi non ha votato, poiché, non votando, ha voluto la volontà di chi ha votato, accettando le sorti della votazione, quali esse sarebbero state). Il punto, tuttavia, è proprio qui: qui il nido dell'equivoco. Se la politica è mezzo nelle mani di Tecnica e Capitale - e, al riguardo, avremmo argomenti in abbondanza per dimostrare che le cose stanno così - non può che attuare il programma di amministrazione secondo la volontà di Tecnica e Capitale. Ovvero, per essere eseguito, il programma politico deve essere plasmato dagli scopi delle due forze. Sicché: produrre senza fine; oltrepassare ogni limite (anche morale); soddisfare qualsiasi bisogno (la tecnologia può tutto), diventano le "parole chiave"; ma poiché produrre senza fine, oltrepassare ogni limite, soddisfare qualsiasi bisogno è un agire che deve creare ricchezza a certe condizioni - sempre di più e a costi che si riducono progressivamente - il programma politico non può che essere "riconcepito" in ossequio a tali criteri. Non deve stupire, dunque, se quasi ogni diritto, sociale e di libertà (lavoro, salute, giustizia etc.) venga sottoposto a una insidiosa opera, continua e interiore, di "revisione di fatto dei nuclei essenziali"; a un esercizio silenzioso di svuotamento rispetto ai paradigmi tradizionali, frutto dei conati ritmici della democrazia che lotta.
La rimodulazione di fatto dei diritti, amministrata formalmente dalla politica, ma provocata dalla razionalità e dalla ricerca dell'efficienza dell'azione di Tecnica e Capitalismo, a ben vedere, non sempre è compatibile con ciò che è, e che viene da una diversa tradizione giuridica e culturale. Anzi. È potenzialmente conflittuale. Dissestante. Si pensi, ad esempio, ai fondamenti dell’obbligazione tributaria, del dovere fiscale. Il prelievo fiscale ha la propria alta causa nella realizzazione di solidarietà e uguaglianza tra i cittadini e, per questa ragione, non può allinearsi a una politica che inclini verso la rigenerazione dei diritti in "virtù" di un "gradiente economico" (esempio:la prevenzione dalle malattie; circostanza essenziale se si vuole affermare il diritto alla salute - è solo per chi ha disponibilità di denaro; la sicurezza di sé e della propria famiglia è solo per chi può auto proteggersi; semplicemente, riposarsi alla stazione in attesa del treno, suppone un biglietto di serie: gli spazi comuni sono stati occupati dagli spazi privati; in generale, i diritti tendono a non essere più interamente assicurati dallo Stato; prende corpo la rimessione del diritto effettivo all'integrazione di disponibilità economiche private).
Questa non può essere la volontà della nazione. Né quella dei singoli, affaticati, contribuenti. La contraddittorietà tra la rotta seguita dalla politica (piegata dal pensiero tecnico e da una ideologia capitalista predatoria) e gli obiettivi del prelievo fiscale, sono solo un effetto della complessa, doppia, questione morale. Doppia perché, oltre quanto anzidetto, non se ne parla neppure.

Vittorio Emanuele Falsitta

Avvenire – 28 giugno 2025 
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